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giovedì 28 marzo 2013

Uova vintage, che tutti amiamo in segreto


Ci sono cose che crediamo di dimenticare, sepolte tra le memorie di giorni offuscati. In realtà sonnecchiano da qualche parte del nostro cervello, incapaci di andare al ritmo di oggi. È un po’ come se all’improvviso i primi modem – col loro fischiettare incerto e le pernacchie rumorose – venissero catapultati in questo tempo di connessioni senza fili e banda larga.

Queste cose perdute, questi ricordi, non scompaiono o si cancellano, entrano solo in stand by fino a quando qualcosa o qualcuno ce le ripropone.

C’è ad esempio il trasloco dei genitori che ti costringe ad analizzare anni di adolescenza, fatti di foto imbarazzanti e pantaloni dai colori fluorescenti, per selezionare cosa tenere e cosa lasciar andare. Inutile dire che anche sotto la minaccia paterna di buttare tutto, ad alcuni oggetti non riesci a rinunciare: le gommine a forma di merendina, gli scubidù, le lettere di tua cugina, i menù dei pranzi di famiglia.

Quei menù… se potessero parlare racconterebbero di un nonno che prima tagliava il formaggio a cubetti con precisione da ingegnere mancato e l’attimo dopo si dedicava con i nipoti a disegnare fiori e arabeschi per abbellire i cartoncini dei menù, descriverebbero l’allegra baraonda che dalla mattina invadeva la casa dei nonni e non scemava che nel tardo pomeriggio, quando i grandi riposavano sul divano e i piccoli inventavano recite e giochi.