
“Mi è avanzato un pollo arrosto questo weekend, come lo mangiamo?”
La mia preferenza però è caduta su una tipologia mai vista prima che ha catturato l'attenzione per il suo colore, o meglio, per la sua caratteristica inconfondibile: una macchia rossa :-)
Si tratta delle patate œil de Perdrix (Occhio di Pernice): una varietà tardiva di patate inglesi note anche con il nome King Edward VII, la cui coltivazione si fa risalire all'inizio del secolo scorso. La raccolta delle œil de Perdrix si effettua da luglio a settembre, ma si mantengono molto bene nei mesi invernali conservate al riparo dalla luce e in luogo fresco ma secco. Il sapore è dolce e gustoso, ideale per preparazioni al forno, per la raclette, la tartiflette, il sempreverde purè o delle gustose frites.
Su suggerimento di Madame Patates (la quale ha anche gentilmente fornito la ricetta) le ho preparate tradizionalmente ovvero al cartoccio, una cottura semplice ma gustosa che esalta il sapore delle œil de Perdrix. L'ideale sarebbe farle cuocere sulla brace, in mancanza di un camino o non volendo dare fuoco al parquet si può serenamente optare per un passaggio in forno... il risultato è garantito al 100%
Con le œil de Perdrix vi auguro un buonissimo fine settimana, ricco di riposo, gusti nuovi o piacevoli riscoperte (giusto per rimanere in tema con la settimana), insomma di momenti belli!
Patate "Oeil de Perdrix" al cartoccio
Ingredienti
250 gr di patate oeil de Perdrix
100 gr pancetta affumicata tagliata a bastoncini
1 cucchiaio da tavola acqua
1 cucchiaio da tavola olio evo
tabasco q.b.
sale q.b.
pepe q.b.
Formare con la carta da forno un cartoccio nel quale mettere le patate ben lavate ma non sbucciate. Aggiungere l'acqua, l'olio e la pancetta affumicata, salare, pepare e versare qualche goccia di tabasco. Chiudere molto bene il cartoccio e infornare per circa 20 minuti in forno già caldo a 220°C.
Poche terre sono belle, affascinanti e al contempo poco conosciute come il Friuli Venezia Giulia. Anche la sottoscritta, nata e cresciuta migliaia di chilometri più a Sud, ne ha per larga parte della propria vita ignorato (o quasi) l'esistenza. Poi un giorno capita di ritrovarsi a fare le valigie per un lungo weekend con una destinazione ignota: Pordenone e provincia, anzi più precisamente San Vito al Tagliamento. Ciò accadeva più di cinque anni fa e quei quattro giorni sono stati i primi di una serie di meravigliosi weekend costellati da passeggiate in borghi antichi, brindisi con incredibili vini bianchi, nonché cene, pranzi, spuntini (insomma ogni occasione buona per mettere le gambe sotto a un tavolo) a base di San Daniele, frico e... cjalsòns!!!
Come spiegare cosa sono esattamente i cjalsòns? Devo ammettere che tutte le volte che ne ho ordinato un piatto ho mangiato qualcosa di diverso e, proprio per questo, unico. Nel mio palato però e, conseguentemente, nella mia memoria si sono fissati l'inconfondibile aroma della cannella unito alla morbidezza delle patate e all'amaro saporito della ricotta. Un piatto davvero buonissimo, simbiosi perfetta di sapori dolci e salati.
Grazie a Rossella, autrice del blog "Ma che ti sei mangiato", oggi ho la possibilità di cimentarmi per la prima volta nella preparazione dei cjalsòns in versione parigina ;-)
Rossella, infatti, ha invitato bloggers e non a mettersi ai fornelli provando una delle tante versioni dei cjalsòns, con l'obiettivo di far conoscere meglio il Friuli e in particolare l'opera di Gianni Cosetti cuoco di Carnia (regione montuosa del Friuli) che (cito letteralmente le informazioni che mi ha mandato Rossella) "negli anni Ottanta e Novanta si guadagnò una stella Michelin con il suo Ristorante Roma di Tolmezzo. Già allora lui s’impegnava nel recupero delle tradizioni e dei prodotti locali. Organizzò anche un concorso per raccogliere le ricette delle casalinghe friulane in tema di cjalsòns. Su 40 partecipanti vennero fuori ben 40 ricette diverse!!!"
Che altro aggiungere? Tra le tante ricette proposte ho scelto di provare i Cjalsòns Krofin di Timau perché mi sono sembrati i più vicini alla mia personalissima esperienza culinaria. Per forza di cose ho dovuto rinunciare alla ricotta affumicata, trovarla nella Ville Lumière è impossibile: ho girato quasi tutti gli arrondissement ma niente... mie predilette amiche friulane (so che ci siete e leggete) conto su di voi per un rifornimento! Rispetto alla ricetta originale ho ridotto la dose di zucchero nell'impasto e sostituito l'uvetta con la mela perché una volta li ho mangiati anche con la mela ed erano buonissimi! Al posto del pizzico della menta secca ho usato una buona manciata di timo fresco che ha aggiunto una nota aromatica all'impasto. Ho voluto anche sperimentare una versione a fagottino, buona come quella classica a raviolo, l'importante è far cuocere i fagottini qualche minuto in più affinché la pasta sia cotta uniformemente.
Buon appetito e... viva il Friuli Venezia Giulia!
Cjalsòns Krofin di Timau
Ho capito che la faccenda delle patate qui era molto seria la prima volta che, al momento di fare la lista della spesa, si è prodotto il seguente dialogo (con me nella parte di quella con foglio e penna in mano incaricata degli acquisti):
- lui: «Allora domani prendi per favore mezzo chilo di vitelotte, due chili di bintje e se ci sono anche delle charlotte, fai tu la quantità»
- lei: «ehhhhhh!?! 'bingie' con una o due G? e poi...che sono? mele o cosa? »
Dopo un annetto la situazione è migliorata, ho imparato come si scrivono tutti questi nomi e anche (più o meno...) ad associarli alla giusta patata senza aiuti (a leggere i cartellini sono bravi tutti). A questo tubero va riconosciuto inoltre il merito di essere il perfetto alleato in cucina, pronto a mille interpretazioni e raramente deludente le aspettative. La vitelotte in questione è perfetta fritta (le chips di vitelotte sono da brodo di giuggiole) o bollita per il purè. Stavolta dunque abbiamo portato in tavola puré di vitelotte...e domani?
Puré di Vitelotte