
Ci sono ortaggi che nascono un po’ sfortunati, lo scrivo senza troppi timori. Prendete le carote: passano buona parte della loro vita sotto terra, hanno un puntuale momento di fama in tarda primavera, quando l’avvicinarsi dell’estate accende i riflettori sui benefici dei caroteni per la tintarella. Ma poi?
Pur essendo quasi sempre presenti in casa, sono relegate a soffritti (tutti almeno una volta nella nostra vita abbiamo avviato un ragù con il mitico trito carota-sedano-cipolla), qualche minestrone e insalate dietetiche, perché oltre che far bene alla pelle le carote sono anche povere di calore (fonti affidabili* dicono 35 ogni 100g).
Quando al supermercato le vedo in enormi bustoni di plastica trasparente a righe arancioni mi mettono sempre un po’ di tristezza addosso (perché mai le buste sono di questa fantasia, ve lo siete mai chiesti? è un modo per preservarne la freschezza o solo l’eccentricità di un distributore burlone?), mi viene quasi l’istinto di liberarle. Non che io sia priva di colpe nei loro confronti, rea di abbandonarle nel cassetto basso del frigorifero per settimane, dimenticando completamente la loro presenza, o di sceglierle come gregarie in ricette in cui i protagonisti sono gli altri.