
Dopo un anno di vita a Parigi avevo quasi dimenticato, ormai assuefatta alle usanze locali, che la lettura del menù di un ristorante può essere un'esperienza decisiva per l'integrazione di un individuo.
E non sto parlando dei tanti ristoranti cinesi dove il menù può incutere timore per la sua imponenza ma è concettualmente semplice: centinaia di pietanze sapientemente ordinate per categorie alimentari (Vuoi mangiare del pollo? Allora puoi ignorare tutto ciò che cervelli superiori hanno classificato alle voci pesce, gamberi, maiale, riso ecc e concentrarti sulle 20/30 proposte elaborate per dare degna cottura al pennuto). Mi riferisco piuttosto a quei piccoli ristoranti tanto charmant in cui può capitare di rifugiarsi tentando di fuggire i bistrot turistici che, presenti come funghi per la città, hanno un menù standard spesso corredato da foto a colori del croque monsieur o della salade niçoise.
Sabato sera ero a cena con una coppia di amici italiani in un normalissimo ristorante parigino, niente stelle ma un ambiente curato e accogliente con tutte le premesse per una serata piacevole. Al momento di decidere cosa mangiare ho tradotto in italiano i nomi delle portate proposte in carta affinché i miei amici potessero scegliere senza dover ricorrere al dizionario. Più andavo avanti nella traduzione, però, più mi rendevo conto che il mio aiuto stava sortendo l'effetto contrario a quello sperato. Invece di dissolvere gli enigmi linguistici mi sono ritrovata a declamare un mero elenco d'ingredienti che ha lentamente formato una densa nube gastronomica dalla quale uscire sembrava impossibile. Ogni pietanza, infatti, era descritta in (minimo) due righe, con abbondanza di aggettivi e con la descrizione particolareggiata di tutti gli ingredienti utilizzati. Se un semplice pesce arrosto con contorno di verdure si trasforma in un "filetto di merluzzo croccante cotto sulla pelle, verdure verdi al vapore e succo di limone emulsionato", potete capire che scegliere tra piatti molto più complessi diventa un'impresa ardua, anche se si rivela un ottimo esercizio per la memoria.
Ironia a parte, non è la prima volta che mi capita di imbattermi in interminabili menù, spesso costellati di sigle (DOP, DOC, IGP) necessarie per valorizzare - giustamente - la qualità delle materie prime impiegate. Se l'estremo opposto è un menù dove i "della casa" non si contano più e autorizzano qualsiasi invenzione dello chef, meglio tenerci la nuova moda e abituarci a prenotare quindici minuti prima per avere il tempo di analizzare con la giusta lucidità il menù.
Mi dispiace però, a Parigi così come in Italia, perdere il gusto dell'attesa ossia la possibilità di immaginare il piatto prima di vederlo e di assaporarne il primo boccone. Ben venga la chiarezza ma non a discapito dell'immaginazione del cliente!
Alle nuove tendenze bisogna tuttavia adeguarsi, ho provato quindi a riformulare un menù con dei classici della cucina italiana.
Sapreste dirmi cosa si mangia oggi? ;-)
Antipasto
Misto di crudites dell'orto accompagnate da salsa calda alle acciughe profumata all'aglio
Primo
Penne trafilate al bronzo con coulisse di San Marzano Dop al basilico, dadolata di melanzane dorate, scaglie di ricotta salata
Secondo
Straccetti di vitello al prosciutto aromatizzati alla salvia
Dolce
Cake meringato alla vaniglia con scorzette d'arancia biologica candita e mandorle di Avola.