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sabato 2 maggio 2015

Centrifughe, influenze e pensieri di stagione

Prima o poi doveva succedere. Tira, tira e alla fine la corda cede (scaramanticamente preferisco evitare di pensare che si spezzi). Ho lavorato intensamente in quest’ultimo periodo, ma forse non più del solito, anzi trovo che quando si è alle prese con stimoli nuovi, nuove sfide, si tenda a sentire meno la fatica, a metabolizzare con estrema facilità gli extra che ci imponiamo. In certi picchi c’è così tanta adrenalina che basta lei a farci alzare a molla la mattina, a farci correre durante la giornata e a spingerci a dedicare ogni sera buoni venti minuti per pulizia del viso, creme e lozioni (l’adrenalina e una buona dose di spirito di mantenimento…).

Forse quello che più fiacca, e che nel mio caso debilita profondamente, è la tensione che viene da altro. Una persona cara che non sta bene, un battibecco non risolto, le febbri dei piccoli, le incertezze che minano desideri e progetti, le preoccupazioni negli occhi di chi amiamo. Piccoli elementi che cerco di ignorare o di farmi scivolare addosso ma da qualche parte si aggrappano e restano lì, silenti. 
A 34 anni non sono ancora brava nell’arte dell’impassibilità, anzi il mio stomaco che si contorce è il più efficace promemoria dei miei problemi, piccoli o grandi che siano. Dovrei ascoltarlo di più, respirare meglio e andare avanti sforzandomi di essere più leggera, per lo meno quando si può (e nella maggior parte dei casi si può, sono io che ingigantisco).
Poi ci sono fattori oggettivi di turbamento dell’equilibrio, tipo i virus che puntuali bussano alla porta di casa sottoforma di minichef, malato almeno una volta al mese, e a quelli è difficile resistere.