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martedì 4 giugno 2013

La Panissa vercellese


Dopo settimane trascorse a disquisire su maltempo, temperature inaccettabili, raffreddori e febbri fuori stagione ho deciso di fare l’unica cosa a mio avviso veramente saggia: accettare il prolungamento dell’inverno e approfittarne per un insperato momento di gloria della cucina dei freddolosi (gruppo al quale mi vanto di appartenere da tempo immemore).

È stato il periodo delle tisane e dei tè, dei passati di verdura, di polenta e formaggio, perfino di una vera fonduta svizzera in Svizzera, legittimata da una spruzzata di neve di fine maggio. Ero così immersa nel clima caloroso e calorico che per un attimo – in realtà anche qualcosa di più – ho dimenticato l’imminente prova costume e deciso di cucinare un piatto mai assaggiato e di cui fino a un mesetto fa ignoravo l’esistenza.

Se non si è di Vercelli e dintorni, infatti, credo che la parola Panissa non evochi proprio nulla. Invece basta prendersi una mezzoretta e farsi raccontare da qualcuno del luogo cosa sia questa misteriosa Panissa per scoprire un piatto speciale, come molti che in Italia hanno una lunghissima tradizione alle spalle.