martedì 4 giugno 2013

La Panissa vercellese


Dopo settimane trascorse a disquisire su maltempo, temperature inaccettabili, raffreddori e febbri fuori stagione ho deciso di fare l’unica cosa a mio avviso veramente saggia: accettare il prolungamento dell’inverno e approfittarne per un insperato momento di gloria della cucina dei freddolosi (gruppo al quale mi vanto di appartenere da tempo immemore).

È stato il periodo delle tisane e dei tè, dei passati di verdura, di polenta e formaggio, perfino di una vera fonduta svizzera in Svizzera, legittimata da una spruzzata di neve di fine maggio. Ero così immersa nel clima caloroso e calorico che per un attimo – in realtà anche qualcosa di più – ho dimenticato l’imminente prova costume e deciso di cucinare un piatto mai assaggiato e di cui fino a un mesetto fa ignoravo l’esistenza.

Se non si è di Vercelli e dintorni, infatti, credo che la parola Panissa non evochi proprio nulla. Invece basta prendersi una mezzoretta e farsi raccontare da qualcuno del luogo cosa sia questa misteriosa Panissa per scoprire un piatto speciale, come molti che in Italia hanno una lunghissima tradizione alle spalle.


Prendete il territorio di Vercelli, ad esempio. Distese infinite di canali e risaie, acqua e terra in un equilibrio costantemente cercato e mantenuto per dar vita al prodotto principe della zona (e della Panissa): il riso.

Spostatevi di qualche chilometro e ai chicchi biondi del Carnaroli (o del Baldo se volete una Panissa più simile a una minestra) aggiungete i fagioli di Saluggia, coltivati fin dal cinquecento e considerati un tempo la “carne dei poveri” perché servivano a sfamare la popolazione contadina nei periodi di forte crisi economica quando, per l’appunto, la carne era un lusso per pochi. Piccoli, rossicci e striati, i fagioli di Saluggia danno alla Panissa un tocco cremoso e dolce che contrasta con il terzo ingrediente del piatto: il salame d’la duja.

Anche nelle comunità contadine delle risaie il maiale rivestiva un ruolo fondamentale e nella bassa vercellese per conservare gli insaccati proteggendoli dall’umidità e dal freddo intenso si utilizzava un orcio in terracotta, la duja. Al suo interno, coperti da un abbondante strato di strutto, i salumi si mantenevano morbidi e saporiti per un anno. Ingegnosi i contadini, non trovate?
Morbido e particolarmente speziato e profumato, il salame d’la duja è l’ingrediente variabile nella ricetta. Più presente nei periodi di abbondanza, si riduce in tempo di economie forzate lasciando spazio ai più convenienti fagioli.

Lo sapete, io mi entusiasmo per i dettagli e quando mi è stato spiegato cosa fosse la Panissa non ho potuto fare a meno d’immaginare le donne di campagna - mondine forse - che s’ingegnavano per mettere insieme una cena e sapientemente mescolavano quello che c’era, nobilitavano prodotti poveri, riempivano pance che brontolavano per la fame.

E così, in una primavera che non è mai arrivata e forse lascerà il passo direttamente all’estate, può avere un senso anche preparare la Panissa. Semplicemente per mangiarla e immaginare risaie, fango, sole che si riflette sui canali, stivali di gomma e uccelli immobili sul pelo dell’acqua.


Panissa Vercellese
Ingredienti per 4 persone
  • 250 gr riso Carnaroli 
  • 200 gr salame d'la duja 
  • 150 gr fagioli di Saluggia secchi 
  • 1 cipolla 
  • 50 ml circa vino rosso corposo 
  • qb olio extravergine d'oliva 
  • 15 gr lardo (io non l'ho messo ma la ricetta doc lo prevede)
Mettere a bagno in acqua fredda i fagioli per almeno 12 ore, trascorso questo tempo lessarli 40 minuti circa in acqua bollente salata profumata con una foglia di alloro. Quando saranno cotti tenerli da parte, senza buttare l'acqua di cottura che servirà per cuocere il riso.

In una casseruola soffriggere in poco olio la cipolla tagliata a cubetti, il salame sbriciolato (e il lardo se lo mettete). Quando la cipolla sarà dorata aggiungere il riso, farlo tostare poi sfumare con quasi tutto il vino. Aggiungere i fagioli, tenendone alcuni da parte per la decorazione del piatto, proseguire la cottura come per un normale risotto bagnando con il brodo di fagioli.

Poco prima della fine della cottura del riso aggiungere il vino rimasto, i fagioli interi e regolare di sale (attenzione: il salame è molto sapido e il brodo è salato quindi io non ho aggiunto altro sale al riso). Servire la panissa ben calda.
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Grazie a Gabriele e Michele de Gli Aironi e a Diego e Maurizio di Torino by Gnam che hanno ideato e organizzato la Vercelli Rice Experience a cui ho partecipato un mese fa. È stato proprio in quest’occasione - una full immersion per capire cosa c’è dietro un sacco di ricco - che ho sentito parlare della Panissa per la prima volta, quel tanto che basta per decidere di provarla a casa!

La Vercelli Rice Experience è stata anche tanto altro ma per una volta lascio parole e immagini ad altri amici che l’hanno condivisa con me. Qui trovate le mie foto, su Honest Cooking un interessante articolo sulla storia e la produzione del riso, negli album (qui, qui e qui) facebook le foto della bravissima Silvia Pastore e su youtube perfino un video!

6 commenti:

  1. Mi sa che sei stata saggia ad adattarti a questo freddolino che non se ne va.
    Ero curiosa di vedere la Panissa tanto nominata a Vercelli. Ora però ho l'acquolina in bocca ed è bene che non dica che ora è :)

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    1. Sarà stato merito del freddo fuori stagione, ma la panissa ha riscosso un grande successo da queste parti!
      Adesso sono curiosa di provarla direttamente a Vercelli magari in una di quelle giornate umide in cui c'è bisogno di riscaldarsi con un buon piatto, sono certa che sul posto ha un gusto ancora più speciale!

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  2. Mia nonna, cresciuta tra le risaie vercellesi, faceva una panissa spettacolare. Del resto da quelle parti c'è un detto che dice "il riso nasce nell'acqua e muore nel vino"
    Ti svelo un segreto: è ancora più buona il giorno dopo, fatta riposare per darle il tempo di "impanirsi" (termine intraducibile, ma che rende l'idea).
    A presto!
    F.

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    1. "impanirsi" che termine splendido :-)
      prossima volta che la farò le darò anche il tempo di riposare per gustarla il giorno dopo, stavolta è finita subito!

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  3. Che buona! Ho avuto la fortuna di conoscere e apprezzare la panissa grazie alla zia del mio compagno - una tarantina trapiantata a vercelli, cuoca sopraffina - ma e' da secoli che non la mangio più...sollecitero' il nipote affinche' porti avanti la tradizione! Anzi, ora che ci penso tempo fa si era gia' cimentato con questo piatto, gli sottoporro' la tua ricetta per una nuova prova del cuoco ;)

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    1. Sta venendo fuori che tutti conoscevano la panissa tranne la sottoscritta!!!
      Mi raccomando, insisti con il tuo compagno per portare avanti le tradizioni e fammi sapere se prova anche questa versione.

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