giovedì 28 marzo 2013

Uova vintage, che tutti amiamo in segreto


Ci sono cose che crediamo di dimenticare, sepolte tra le memorie di giorni offuscati. In realtà sonnecchiano da qualche parte del nostro cervello, incapaci di andare al ritmo di oggi. È un po’ come se all’improvviso i primi modem – col loro fischiettare incerto e le pernacchie rumorose – venissero catapultati in questo tempo di connessioni senza fili e banda larga.

Queste cose perdute, questi ricordi, non scompaiono o si cancellano, entrano solo in stand by fino a quando qualcosa o qualcuno ce le ripropone.

C’è ad esempio il trasloco dei genitori che ti costringe ad analizzare anni di adolescenza, fatti di foto imbarazzanti e pantaloni dai colori fluorescenti, per selezionare cosa tenere e cosa lasciar andare. Inutile dire che anche sotto la minaccia paterna di buttare tutto, ad alcuni oggetti non riesci a rinunciare: le gommine a forma di merendina, gli scubidù, le lettere di tua cugina, i menù dei pranzi di famiglia.

Quei menù… se potessero parlare racconterebbero di un nonno che prima tagliava il formaggio a cubetti con precisione da ingegnere mancato e l’attimo dopo si dedicava con i nipoti a disegnare fiori e arabeschi per abbellire i cartoncini dei menù, descriverebbero l’allegra baraonda che dalla mattina invadeva la casa dei nonni e non scemava che nel tardo pomeriggio, quando i grandi riposavano sul divano e i piccoli inventavano recite e giochi.

lunedì 18 marzo 2013

Make it simple: crokis di segale


La prima ricetta che ho pubblicato su questo blog, quasi tre anni fa, è stato un piatto giapponese: salmone Teriyaki con insalata tiepida di Soba. Una preparazione piuttosto lunga e, soprattutto, un elenco d’ingredienti esotici alquanto ricco. Viaggiare mi piace, poterlo fare attraverso il cibo è uno dei regali che più spesso mi concedo. Niente di strano dunque se anche in questo blog ho provato e condiviso ricette straniere. 

Lo notavo qualche giorno fa in un tentativo di sistemazione del mio archivio e osservavo come nel tempo sia cambiato senza che me ne accorgessi il tipo di piatti che preferisco mangiare e che quindi annoto qui. 
È come se tutto si fosse semplificato, assecondando i miei gusti, il tempo, gli ingredienti prediletti. 
La mia vita, insomma, trova un riflesso inconsapevole nella mia cucina. Dovevo aspettarmelo.

Forse è un percorso naturale da compiere, un cammino che ci porta inizialmente a voler affrontare grandi scalate e destinazioni ignote, per poi accorgerci che è solo partendo dai sentieri che ci sono vicini che possiamo gettare le basi per esplorazioni migliori. Ciò non vuol dire che si abbandona la strada della sperimentazione e dell’ignoto, ma solo che cambiano i punti di vista e i campi di prova.

Un esempio? Da mesi impasto focacce alla ricerca del giusto mix di farina, acqua, lievito e sale che riesca senza intoppi e incontri i gusti della famiglia. Quando arriverò al risultato perfetto sarò felice e ciò avverrà grazie a pochi ingredienti ed una tecnica molto antica che però mi sta facendo tribolare non poco!

martedì 12 marzo 2013

Torta di mandorle, in apnea.


È già marzo e, a essere sincera, mi sembra di essere arrivata al terzo mese dell’anno in apnea. Come se il primo gennaio mi fossi tuffata in mare e stessi nuotando sott’acqua da allora. Una lunga nuotata in cui riprendo coscienza di ogni muscolo, della freschezza dell’acqua e della leggerezza del mio corpo in immersione. 

Metafore a parte, è un periodo particolarmente intenso, fatto di vecchi e nuovi progetti professionali che s’incastrano tra di loro, di una routine familiare che si complica un po’ (francamente lo trovavo inimmaginabile, ma adesso dopo le chiacchierate notturne dello scorso anno abbiamo aggiunto gli spuntini a notte inoltrata!) e di tante parole che le mie dita compongono sulla tastiera, a volte rapide e sicure, altre incerte.

Paradossalmente, dopo giornate spese tra le parole mi capita di restarne senza quando vorrei fermarmi e raccontare un po’ di me, della pasta al forno di mamma che meno male che c’è e anche in trasferta milanese senza il pomodoro buono è sempre una certezza, del pappagallo (prima conosciuto come minichef) che abita con noi da qualche tempo e il cui passatempo preferito è ripetere qualsiasi suono/parola/onomatopeica arrivi alle sue piccole orecchie, dei miei primi busiati fatti a mano e della sottile soddisfazione che si prova nel condividere con uno chef una ricetta di tradizione, di un abito vintage comprato con un’amica che mi fa sentire bella e di una foto che lo immortala e mi piace proprio!

venerdì 1 marzo 2013

Due


Qualcuno li ha definiti i “terribili due” e, in effetti, il sentore che i dodici mesi che ci aspettano non siano proprio una passeggiata l’ho da diverso tempo.

Da quando hai iniziato a dire “no” con convinzione, con l’intenzione che traspare dagli occhi e dalla testa, un po’ piegata per dare enfasi all’affermazione.

Da quando capisci perfettamente se la mia giornata è storta e, quasi a farmelo apposta, sfoderi tutto il repertorio di pianti, capricci e inspiegabili monellerie.

Se però le ultime settimane sono state un’anticipazione di quelle che arriveranno, ci saranno anche tanti giochi nuovi. Giochi con regole, con personaggi da impersonare e posti fissi da occupare perché lo decidi tu.

Canzoni da imparare e cantare in coro, che adesso canticchi sovrappensiero ed io faccio ancora fatica a capire. Forse le hai sentite all’asilo e le ripeti nel tuo linguaggio in costruzione.

Dialoghi da sperimentare, perché conversare con un bambino di due anni offre innumerevoli momenti di ilarità e contemporanea frustrazione, tra parole inventate e la magia dell’apprendimento cui noi adulti assistiamo privilegiati.

Ci saranno amicizie tutte tue e ora che i tuoi amici hanno un nome da pronunciare è più bello chiamarli per giocare, passeggiare in moto insieme, mangiare le pizzette seduti accanto.