martedì 27 aprile 2010

Menù e nuovi linguaggi

Dopo un anno di vita a Parigi avevo quasi dimenticato, ormai assuefatta alle usanze locali, che la lettura del menù di un ristorante può essere un'esperienza decisiva per l'integrazione di un individuo.

E non sto parlando dei tanti ristoranti cinesi dove il menù può incutere timore per la sua imponenza ma è concettualmente semplice: centinaia di pietanze sapientemente ordinate per categorie alimentari (Vuoi mangiare del pollo? Allora puoi ignorare tutto ciò che cervelli superiori hanno classificato alle voci pesce, gamberi, maiale, riso ecc e concentrarti sulle 20/30 proposte elaborate per dare degna cottura al pennuto). Mi riferisco piuttosto a quei piccoli ristoranti tanto charmant in cui può capitare di rifugiarsi tentando di fuggire i bistrot turistici che, presenti come funghi per la città, hanno un menù standard spesso corredato da foto a colori del croque monsieur o della salade niçoise.

Sabato sera ero a cena con una coppia di amici italiani in un normalissimo ristorante parigino, niente stelle ma un ambiente curato e accogliente con tutte le premesse per una serata piacevole. Al momento di decidere cosa mangiare ho tradotto in italiano i nomi delle portate proposte in carta affinché i miei amici potessero scegliere senza dover ricorrere al dizionario. Più andavo avanti nella traduzione, però, più mi rendevo conto che il mio aiuto stava sortendo l'effetto contrario a quello sperato. Invece di dissolvere gli enigmi linguistici mi sono ritrovata a declamare un mero elenco d'ingredienti che ha lentamente formato una densa nube gastronomica dalla quale uscire sembrava impossibile. Ogni pietanza, infatti, era descritta in (minimo) due righe, con abbondanza di aggettivi e con la descrizione particolareggiata di tutti gli ingredienti utilizzati. Se un semplice pesce arrosto con contorno di verdure si trasforma in un "filetto di merluzzo croccante cotto sulla pelle, verdure verdi al vapore e succo di limone emulsionato", potete capire che scegliere tra piatti molto più complessi diventa un'impresa ardua, anche se si rivela un ottimo esercizio per la memoria.

Ironia a parte, non è la prima volta che mi capita di imbattermi in interminabili menù, spesso costellati di sigle (DOP, DOC, IGP) necessarie per valorizzare - giustamente - la qualità delle materie prime impiegate. Se l'estremo opposto è un menù dove i "della casa" non si contano più e autorizzano qualsiasi invenzione dello chef, meglio tenerci la nuova moda e abituarci a prenotare quindici minuti prima per avere il tempo di analizzare con la giusta lucidità il menù.

Mi dispiace però, a Parigi così come in Italia, perdere il gusto dell'attesa ossia la possibilità di immaginare il piatto prima di vederlo e di assaporarne il primo boccone. Ben venga la chiarezza ma non a discapito dell'immaginazione del cliente!

Alle nuove tendenze bisogna tuttavia adeguarsi, ho provato quindi a riformulare un menù con dei classici della cucina italiana.

Sapreste dirmi cosa si mangia oggi? ;-)

Antipasto

Misto di crudites dell'orto accompagnate da salsa calda alle acciughe profumata all'aglio

Primo

Penne trafilate al bronzo con coulisse di San Marzano Dop al basilico, dadolata di melanzane dorate, scaglie di ricotta salata

Secondo

Straccetti di vitello al prosciutto aromatizzati alla salvia

Dolce

Cake meringato alla vaniglia con scorzette d'arancia biologica candita e mandorle di Avola.

8 commenti:

  1. Che voglia di andare insieme in un ristorante parigino dove potrebbero servirci delle improbabili penne alla Norma ( perché di questo trattasi) ed altre prelibatezze di chiara ispirazione italiana! E chissà che non possiate essere voi i ristoratori che offrono questo e ben altri e più sofisticsti menù? Baci

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  2. Benissimo, il 'mistero' del primo è stato subito risolto!
    Si trattava di una, non tanto mascherata, Pasta alla Norma, uno degli emblemi della cucina siciliana.

    Ma adesso chi indovinerà gli altri piatti (famosissimi) celati dietro queste pompose descrizioni?!?!

    Buona caccia :-)

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  3. Direi
    Bagna Caoda
    Pasta alla Norma
    Saltimbocca alla romana
    Cassata.

    Certo per par condicio avresti dovuto mettere come dolce: pane dolce a lievitazione naturale con uve di corinto igp passita, scorza di arancie tarocco di Ribera igp e scorza di limone di sorrento igp.

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  4. Complimenti!!!

    Tre su quattro sono giusti, ma sul dolce non ci siamo...

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  5. Ribatto allora con la moda dilagante degli chef italiani di qualsiasi rango di sopravvalutare le loro proposte usando termini al limite della lingua italiana.
    Microscopiche fette di ananas o di polpo, diventano un carpaccio, che rendono contente le tasche del ristoratore e un po' meno il nostro stomaco.
    Oppure qualsiasi cosa saltata in padella (prassi più o meno propedeutica in un ristorante) diventa "Padellata di...." quasi fosse una cosa esclusiva e ricercata.

    Ps. la bagna caoda mi é stata suggerita dalla Gabry.

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  6. Forse il biancomangiare?
    Non lo avevo considerato perchè di solito annovero tra i biancomangiare la ricetta salata di pollo rinascimentale oppure la versione da ristorazione classica di solo latte di mandorle.

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  7. Ottime osservazioni, del resto il problema è a mio avviso proprio questo: nomi altisonanti che non sempre sono necessari.

    ps: non si tratta di biancomangiare

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  8. Forse la colomba, ma non lo definirei meringato.

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